5 ottobre 2025 redazione
dal Partito comunista palestinese

DICHIARAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA PALESTINESE "IL PIANO DI CESSATE IL FUOCO DI TRUMP A GAZA: UNA DICHIARAZIONE DI STERMINIO ORGANIZZATO, NON DI PACE"
O masse del nostro popolo in lotta,
quello che viene commercializzato come "il piano di cessate il fuoco di Trump" non è né una soluzione né un'iniziativa di pace. Si tratta di un progetto imperiale volto a liquidare la causa palestinese e a legittimare i massacri contro il nostro popolo a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme. I tentativi di presentare questo piano come un "insediamento" non sono altro che una dichiarazione di sterminio organizzato intesa a soggiogare il nostro popolo e a consolidare l'occupazione sotto la copertura diplomatica ed economica.
Il popolo palestinese, che ha resistito per decenni alle politiche di sradicamento, pulizia e sfollamento forzato, non accetterà di essere escluso da qualsiasi decisione che riguardi il suo destino, né permetterà che le sue sofferenze siano trasformate in accordi tra criminali di guerra come Trump e Netanyahu e i loro sostenitori reazionari.
Le analisi marxiste-leniniste confermano che l'imperialismo non è una fonte di pace, ma una fonte di saccheggio, di guerre e di sterminio. La scena in Palestina oggi incarna questa verità: un'occupazione espansionistica sostenuta dagli Stati Uniti e dall'Europa, alleanze con regimi arabi reazionari che si sottomettono apertamente agli interessi imperialisti e sionisti – tutti volti a cancellare l'identità palestinese e legittimare l'espropriazione della terra e del popolo.
Pertanto, il Partito Comunista Palestinese afferma:
nessuna pace con l'occupazione: Non possiamo accettare alcun piano che ignori il diritto storico del popolo palestinese di stabilire il proprio Stato libero e pienamente sovrano su tutto il territorio nazionale: uno Stato democratico e laico per tutti i suoi abitanti, con Gerusalemme come capitale.
Il diritto di resistenza: La resistenza all'occupazione è necessaria e legittima in tutte le sue forme contro la macchina della repressione. I tentativi di criminalizzare la resistenza non alterano la realtà dell'ingiustizia.
Rifiuto dello sfollamento e dello sterminio: Rifiutiamo qualsiasi piano per sfollare i palestinesi o per istituzionalizzare un progetto di sterminio. Chiediamo garanzie per il ritorno degli sfollati in conformità con la legge e le risoluzioni internazionali.
Rilascio dei prigionieri: Libertà immediata per tutti i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri dell'occupazione.
Responsabilità per i perpetratori: Chiediamo che i leader dell'entità sionista e coloro che li sostengono siano chiamati a rispondere a livello internazionale dei crimini di guerra, dello sterminio e della distruzione.
Escalation del boicottaggio: Facciamo appello alle forze progressiste, ai partiti sindacali e alle organizzazioni popolari di tutto il mondo per intensificare le campagne di boicottaggio e per isolare politicamente ed economicamente l'entità sionista e i suoi alleati.
Formazione di un ampio fronte nazionale e ristrutturazione dell'OLP: Chiediamo urgentemente la costruzione di un ampio fronte nazionale che includa tutte le forze nazionali, progressiste e indipendenti palestinesi – un fronte che guidi la resistenza popolare e nazionale, ponga fine all'odiata divisione e lavori per ristrutturare l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina in un'istituzione nazionale autenticamente rappresentativa su basi nazionali e rivoluzionarie. Questa istituzione deve impegnarsi in una linea di lotta unitaria per affrontare l'occupazione e ripristinare i diritti inalienabili del popolo palestinese. Proponiamo l'immediata convocazione di una conferenza nazionale globale che includa rappresentanti delle forze politiche, delle forze popolari, dei comitati di resistenza popolare, dei sindacati e delle organizzazioni della società civile per stabilire un chiaro programma unificante per il confronto e la politica nazionale.
O figli del nostro popolo,
lo scopo di questi "piani" è quello di mettere a tacere la voce della Palestina e cancellare la nostra causa nazionale e sociale. Ripetiamo: la Palestina non è in vendita e non è negoziabile, e il sangue dei nostri martiri non sarà scambiato con schemi volti a cancellare la nostra identità.
Diciamo con una sola voce: continueremo la lotta fino alla liberazione e all'instaurazione di uno Stato democratico e laico, uno Stato di giustizia sociale e di uguaglianza per tutti i cittadini, senza occupazione e senza sfruttamento.
Gloria ai martiri - Libertà per i prigionieri - Vittoria alla resistenza - Viva una Palestina libera e orgogliosa
Partito Comunista Palestinese

04/10/2025


 


7 ottobre 2025 redazione
comunicato UDAP

ROMA, 4 OTTOBRE 2025 – UN MILIONE IN PIAZZA PER LA PALESTINA LIBERA E LA SUA RESISTENZA
Ieri, 4 ottobre 2025, l’Italia ha fatto la storia: un milione di persone hanno attraversato la capitale in una manifestazione nazionale per la Palestina.
Una mobilitazione senza precedenti negli ultimi decenni, promossa da tutte le realtà palestinesi in Italia, che segna un passaggio fondamentale nella lotta contro il genocidio in corso e in sostegno della Resistenza palestinese.
Questa storica giornata è il risultato concreto di due anni di lotte e mobilitazioni costanti con impegno concreto di sindacati, associazioni, partiti e reti di solidarietà con la Palestina in ogni settore e su ogni territorio e che ha raggiunto il suo apice in queste settimane. Dal 22 settembre vediamo milioni di persone mobilitarsi, scioperare e bloccare tutto in supporto e solidarietà concreta con la Resistenza palestinese.
L’unità della lotta sindacale dei lavoratori ha portato allo sciopero storico del 3 ottobre, che ha paralizzato l’intera nazione: dalle piazze ai porti, dalle stazioni dei treni agli interporti e le autostrade, l’Italia intera si è fermata per la Palestina.
La giornata del 4 ottobre è un successo frutto dell’immensa fermezza, dignità e determinazione del popolo palestinese e della sua resistenza, che non si è mai piegata di fronte all’occupazione militare, all’assedio, alla pulizia etnica e al genocidio.
La piazza ha parlato con una voce sola, la voce del popolo palestinese e della solidarietà che in Italia è diventata forza di massa.
La voce del popolo ieri ha mandato un segnale chiaro: il governo italiano, complice del genocidio, non rappresenta la volontà del suo popolo.
Il corteo di ieri ha preteso a gran voce le dimissioni di un governo che continua a sostenere vergognosamente le ambizioni coloniali di Israele e il cosiddetto “piano Trump” che vorrebbe imporre una resa incondizionata della Resistenza palestinese, ma quest’ultima ha rifiutato la “soluzione del disarmo”.
Questo governo deve quindi rispondere alla volontà espressa dal popolo italiano e interrompere ogni relazione politica, economica e militare con Israele, deve liberare Anan e gli altri prigionieri palestinesi ingiustamente detenuti in Italia, deve dimettersi così come richiesto dal popolo.
Ogni forma di complicità va spezzata.
Israele è un laboratorio di oppressione globale: le sue tecnologie di sorveglianza, le sue armi, le sue pratiche militari e repressive vengono esportate e applicate ovunque, dai confini europei alle periferie italiane.
Per questo la nostra lotta è anche qui: dobbiamo smascherare e combattere il sionismo che si è infiltrato nei partiti, nelle istituzioni, nelle università e in ogni spazio politico e sociale.
Combattere il sionismo da casa nostra è parte integrante della liberazione palestinese.
Le lotte si sono unite. La liberazione della Palestina è parte delle lotte sociali in Italia.
Ribadiamo la nostra solidarietà a tutti coloro che sono stati fermati e perquisiti già prima dell’arrivo a Roma e con forza sosteniamo tutti coloro colpiti dalla violenza repressiva, fermi e arresti a fine corteo. Queste sono strategie repressive e intimidatorie vigliacche che questo governo adotta di fronte a una manifestazione che ha mostrato tutta la potenza della volontà popolare.
Lanciamo quindi un appello al popolo italiano, a tutti i compagni e le compagne che hanno lottato con noi senza tregua: continuiamo a lottare al fianco della nostra Resistenza contro il sionismo, per una Palestina libera dal fiume fino al mare.
Questa piazza è la vera voce dell’Italia, quella che sta dalla parte degli oppressi che resistono, dalla parte della libertà, della giustizia e della dignità.
È la voce di chi sa che Palestina libera non è uno slogan, ma una necessità storica e umana.
E finché non sarà realtà, continueremo a scendere in piazza uniti, a lottare, a scioperare e a resistere.
PALESTINA LIBERA, DAL FIUME AL MARE 

*Le realtà palestinesi unite in Italia*                                                                       Associazione dei Palestinesi in Italia(API) – Unione Democratica Arabo-Palestinese (UDAP) – Comunità Palestinese in Italia -Giovani Palestinesi Italia – Movimento studenti palestinesi in Italia

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9 ottobre redazione
FPLP

OMUNICATO STAMPA DEL FRONTE POPOLARE PER LA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA SUL CESSATE IL FUOCO
giovedì 9 ottobre 2025
Il raggiungimento dell’accordo di cessate il fuoco e avviarne la prima fase è un risultato significativo e il primo passo di un lungo cammino verso la fine delle sofferenze del nostro popolo.
È tempo che il genocidio finisca. È il frutto della leggendaria fermezza (Sumud) dimostrata da Gaza e dal nostro popolo palestinese, degli enormi sacrifici dei martiri, dei feriti e dei prigionieri, e della tenacia della coraggiosa resistenza che ha affrontato l’aggressione fino a questo momento.
Rendiamo omaggio al nostro popolo, sia in patria che all’estero, e ai nostri martiri, feriti, prigionieri e dispersi, che hanno incarnato le più belle immagini di sacrificio e tenacia. Il nostro popolo ha sopportato ciò che nessun altro popolo ha sopportato e, nonostante la distruzione, i massacri e la fame, l’occupazione sionista ha fallito nel raggiungere i suoi obiettivi e non ha raccolto altro che delusione, vergogna e isolamento.
Dall’inizio dell’aggressione fino alla firma dell’accordo, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ha continuato i suoi sforzi senza interruzione, in coordinamento con tutte le forze palestinesi, arabe e islamiche, per raggiungere il momento in cui sarà fermata la macchina da guerra. Il Fronte rimarrà al fianco del nostro popolo durante questa fase difficile e cruciale della sua storia, continuando a sostenere la sua fermezza e la sua lotta fino al raggiungimento dei suoi obiettivi nazionali.
Apprezziamo profondamente gli sforzi dei nostri fratelli in Egitto, Qatar, Turchia e in tutti gli altri paesi arabi e islamici, così come le posizioni e le azioni delle nazioni e dei popoli liberi del mondo che hanno respinto la continuazione dei massacri e hanno cercato di fermarli, i cui sforzi hanno contribuito al raggiungimento di questo accordo. Apprezziamo in particolare la ferma posizione dell’Egitto nel respingere lo sfollamento e sostenere la fermezza del nostro popolo sulla sua terra.
L’accordo attuale ha superato i “no” e gli obiettivi sionisti. È l’unica opzione praticabile nelle circostanze attuali e il suo successo dipende dal rispetto dello stesso da parte dell’occupazione sionista e dalle chiare garanzie USA che impediscano ogni procrastinazione. Il nostro obiettivo ora è continuare a lavorare per porre fine una volta per tutte al genocidio, ottenere un ritiro completo dalla Striscia di Gaza, rompere l’assedio e porre fine alle sofferenze del nostro popolo.
Stiamo lavorando con tutte le organizzazioni palestinesi, con contributo egiziano, per avviare un dialogo nazionale globale che apra un nuovo orizzonte per la costruzione di una strategia palestinese unitaria basata sui principi e sui diritti storici del nostro popolo, per affrontare la fase successiva e ricostruire le nostre istituzioni nazionali in base a partenariato associativo e collegiale per affrontare tutte le sfide.
Rifiutiamo la tutela straniera e affermiamo che l’amministrazione di Gaza deve essere puramente palestinese, con la partecipazione araba e internazionale alla ricostruzione e al recupero.
Il mondo oggi è al nostro fianco e sostiene il nostro diritto alla libertà e all’autodeterminazione. Il movimento globale deve continuare a perseguire l’occupazione e i suoi leader anche dopo il raggiungimento dell’accordo di cessate il fuoco, affinché la Palestina possa rimanere viva nella coscienza mondiale fino alla fine dell’occupazione.


7 ottobre 2025 redazione
FPLP

DAL FRONTE POPOLARE PER LA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA (PFLP)
“Nel secondo anniversario dell’Operazione 7 ottobre, ricordiamo un momento decisivo nel percorso di un popolo che non ha mai conosciuto la resa o la sottomissione. Quel giorno, la resistenza ha ribadito di essere l’essenza stessa dell’esistenza palestinese e il suo spirito vitale: un grido fragoroso contro l’oppressione, la tirannia e l’arroganza dell’occupazione. È
stata una dichiarazione audace al mondo che il popolo palestinese è vivo, saldo nella sua terra e nella sua identità, e irremovibile nel suo diritto alla libertà e alla dignità.
“Tuttavia, la risposta sionista - direttamente sostenuta dall’imperialismo americano e dalle lobby occidentali - non è stata solo un attacco militare, ma una palese manifestazione di terrorismo di Stato organizzato come strumento coloniale per eccellenza
. A Gaza, il mondo ha assistito a un genocidio sistematico senza precedenti nell’era moderna, non solo per la sua brutalità, ma anche per la mentalità coloniale che giustifica la fame come arma, l’assedio come punizione collettiva e la distruzione delle infrastrutture vitali come parte di un progetto di sterminio calcolato. Ospedali, scuole, università, fonti d’acqua e centrali elettriche non sono stati solo bombardati: le case sono state rase al suolo con i loro abitanti, i mezzi di sussistenza di base sono stati distrutti e centinaia di migliaia di persone sono state sfollate ripetutamente. Tutto ciò rivela il vero volto del sistema coloniale, che considera la vita dei palestinesi un ostacolo al dominio e cerca di sradicare la volontà nazionale.
“La partecipazione dei movimenti di resistenza in Libano, Yemen, Iran e Iraq a sostegno di Gaza riflette l’unità del destino e la profondità della solidarietà, ribadendo che la Palestina non è sola nell’affrontare l’occupazione. Le forze di resistenza libanesi e yemenite hanno dimostrato resilienza e fermezza e, nonostante gli enormi sacrifici, il percorso di resistenza continua a unire i popoli arabi nella rivendicazione della loro dignità e nella costruzione di un futuro libero e indipendente, lontano dalla sottomissione e dal dominio straniero”.
“L’immagine della bandiera palestinese che sventola in tutto il mondo, portata da persone libere in manifestazioni e marce storiche nelle capitali, nelle piazze e nelle strade, soprattutto nei paesi occidentali, rappresenta un risultato simbolico e umano monumentale che ha restituito dignità a una causa che l’occupazione ha cercato di cancellare per decenni.
L’entità sionista, un tempo protetta dall’impunità, è ora un regime fuorilegge, isolato, moralmente condannato ed esposto al diritto internazionale e alla coscienza”.
“In occasione del secondo anniversario di quella operazione immortale, e a due anni dall’inizio della guerra genocida sionista contro il nostro popolo nella Striscia di Gaza, il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina afferma quanto segue:
Rendiamo omaggio con orgoglio agli eroici martiri del nostro popolo – in particolare ai comandanti e ai combattenti di Gaza, della Cisgiordania e di tutti i teatri di scontro – il cui sangue testimonia la fermezza di Gaza. Rendiamo omaggio anche ai nostri prigionieri e feriti, i cui sacrifici rimangono una fonte duratura di orgoglio e ispirazione.
L’operazione del 7 ottobre è stata un capitolo fondamentale nella lotta continua del nostro popolo dall’occupazione della Palestina, una risposta naturale ai crimini dell’occupazione a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme, nonché alle politiche di blocco, insediamento e giudaizzazione.
A coloro che sostengono che questa operazione abbia dato inizio al conflitto o causato la crisi, ricordiamo che i crimini di Israele non hanno mai cessato dall’occupazione della Palestina, mentre la resistenza è sempre rimasta attiva e irriducibile su tutti i fronti, a testimonianza della resistenza e della volontà del nostro popolo di affrontare l’aggressione.
Mentre l’occupazione intensifica la sua guerra genocida, in particolare nella città di Gaza, e la resistenza risponde alla proposta americana, le nostre priorità sono ottenere un cessate il fuoco immediato e completo, revocare il blocco, consentire gli aiuti umanitari e avviare la ricostruzione. Si tratta di richieste ferme che affronteremo con responsabilità e flessibilità per porre fine alle sofferenze del nostro popolo.

 

8 marzo 2025 redazione
da newsletter-zeitun

Le donne palestinesi e i rischi meno noti delle lunghe attese ai posti di blocco israeliani
Arda Aghazarian
*
I checkpoint israeliani: “Una geografia sociale dell’orrore

Per oltre due decenni, le geografie della mobilità all’interno delle strutture militari israeliane, il regime dei checkpoint e i sistemi di sorveglianza con telecamere hanno inflitto ai palestinesi un intenso trauma emotivo, mentale e fisico. Alcuni sociologi hanno descritto la violenza contro i palestinesi ai posti di blocco militari a Gerusalemme, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza come “siti intrinsecamente volatili di potere e controllo”, che costituiscono una “geografia sociale dell’orrore”.

Particolarmente estenuanti sono le dimensioni di genere del sistema di permessi e delle strutture dei checkpoint. Questi luoghi di potere altamente militarizzati indubbiamente inducono profonda ansia e stress, minaccia, pericolo e umiliazione; il fatto di non sapere quanto sarà lunga l’attesa o se si riuscirà a raggiungere la destinazione desiderata crea situazioni di insicurezza e molestie all’interno di spazi confinati e costrittivi, soprattutto per le giovani donne. Ciò finisce per limitare la partecipazione e la protezione delle donne nella sfera pubblica, ma può anche suscitare sentimenti di vergogna e intimidazione , aspetti che le donne raramente condividono.
Considerando il contesto più ampio, in particolare da quando Israele ha dichiarato guerra a Gaza il 7 ottobre 2023, molti palestinesi di Gerusalemme dicono di sentirsi in colpa o in imbarazzo a lamentarsi dei problemi che subiscono attraversando i checkpoint. Sanno che il loro disagio è minore se paragonato alle atrocità subite dai palestinesi di Gaza. Tuttavia, le loro esperienze non sono affatto normali.
Da quando è stata dichiarata la guerra, Israele ha mantenuto vari gradi di chiusura nei confronti degli spazi palestinesi a Gerusalemme est e nel resto della Cisgiordania. All’inizio, il checkpoint di Qalandiya, che controlla tutti gli accessi palestinesi a Gerusalemme dal nord della Cisgiordania e che normalmente gestisce oltre 25mila palestinesi al giorno, è stato chiuso ermeticamente, così come gli altri due checkpoint che controllano l’accesso dei palestinesi da est (al-Zaytun) e da sud (Checkpoint 300). Nessun palestinese poteva passarvi, nemmeno i palestinesi in possesso di un documento di identità israeliano di residenza permanente. Alcune settimane dopo l’inizio della guerra, il checkpoint è stato aperto solo ai veicoli con le targhe gialle (israeleiane), non ai pedoni. Poi è stato aperto ai pedoni, ma solo per due ore al mattino e due ore nel tardo pomeriggio. Queste chiusure hanno creato ingorghi enormi, con conseguenti attese di cinque ore o più per i palestinesi che devono attraversare Qalandiya, anche solo per andare a scuola ogni giorno, come nel caso delle decine di migliaia di palestinesi che vivono nei quartieri dietro il muro.

"I posti di blocco hanno affaticato la mia vescica”.

In un incontro informale durante un brunch a Gerusalemme il 19 novembre 2023, Lulu (le generalità di tutte le persone presenti in questo blog post sono state modificate) dice di non bere più caffè.
I posti di blocco hanno affaticato la mia vescica”, dice con disinvoltura. Lulu è una celebre professoressa che ha insegnato a Betlemme e Ramallah per oltre 15 anni, utilizzando per lo più i trasporti pubblici per superare i checkpoint a piedi (in particolare, il Qalandiya Terminal per Ramallah e il Checkpoint 300 per Betlemme), che trovava più veloci rispetto al viaggio in auto privata. Ma alla fine del 2019 ha smesso del tutto di lavorare, non potendo più sopportare di avere a che fare con i posti di blocco militari.
Tutte quelle ore di attesa così prolungata mi hanno causato un’infezione alle vie urinarie”, rivela quando le viene chiesto di approfondire. “Mi ha rovinato la vescica”. Lulu non lo dice in modo autocommiserativo, ma piuttosto in modo concreto. “Mi fa ridere quando sento le persone rivendicare il diritto di vivere liberamente quando noi palestinesi non abbiamo nemmeno il diritto di fare pipì”.
Mentre le donne chiacchierano, diventa evidente che tutte hanno storie di lunghe attese ai posti di blocco tra Gerusalemme e la Cisgiordania. Mia, una sociologa che insegna a Ramallah, ricorda un episodio specifico:
“Ricordo che una volta ho pianto al checkpoint.
Avevo un bisogno così urgente di andare in bagno che mi sono ritrovata a spingere le persone intorno a me. Ho implorato, davvero implorato, la soldatessa israeliana di lasciarmi passare. Devo fare pipì! Le ho gridato in inglese con le lacrime agli occhi. “Ok”, ha risposto lentamente, come se avessimo tutto il tempo del mondo. Mi ha accompagnato alla minuscola toilette del terminal di Qalandiya e ha aspettato. Mi ha fatto tenere la porta aperta. Non credereste mai a quanto velocemente ho aperto i pantaloni. Ho provato un senso di sollievo enorme. Non ci sarebbe stato modo di resistere alle due ore di attesa che seguirono”.
Vedi, non sai mai quanto potrebbe durare la strada”, osserva Fufu, una contabile aziendale. “Potresti essere fortunato, oppure no… non lo sai mai. In questi giorni è comunque impossibile, da quando gli israeliani hanno bloccato tutte le strade e i checkpoint. E se devo essere sincera”, aggiunge, ”mi disgusta troppo stare in mezzo a masse di persone stipate in spazi minuscoli, per non parlare dei bagni pubblici! Non posso immaginare di portare mia madre attraverso quei confini; lei ha il diabete”.
Siete troppo gentili”, dice Mina, un’avvocata di Gerusalemme. “Una volta stavo aspettando in macchina al checkpoint di Qalandiya e c’era una follia sulla strada: Siamo rimasti bloccati per ore perché c’era uno scontro tra ragazzi palestinesi ed esercito israeliano. I soldati israeliani hanno iniziato a sparare e poi hanno chiuso del tutto il checkpoint. Nel frattempo, io ero bloccata. Non c’era modo di andare avanti o indietro. Dopo ore di attesa con estrema agitazione e forte ansia, la natura ha chiamato. A differenza di voi ragazze, io mi sono messa all’opera: Sono scesa dall’auto e ho fatto pipì sul ciglio della strada. Ripensandoci, mi rendo conto di essere più pazza della media delle persone. Non oserei mai farlo al giorno d’oggi. Se lo facessi ora [novembre 2023], non c’è dubbio che mi sparerebbero, magari con i pantaloni abbassati!”.
Saresti considerata sia una terrorista che una martire”, ride Tamira, che è di Ramallah ma ha un permesso di lavoro speciale che le permette di lavorare in un’organizzazione internazionale a Gerusalemme. “Al cento per cento: ti sparerebbero in quel momento a sangue freddo. Questa settimana mi hanno quasi sparato, perché non sapevo da che parte camminare”, aggiunge. “I soldati stavano facendo i capricci e si chiedevano cosa diavolo stessi facendo. Ma io semplicemente non ero sicura! Ho alzato le mani e ho detto: “Mi sono persa!”. Penso spesso a quel momento in cui ho rischiato di essere uccisa”.

L’“immagine” della civiltà
Negli anni Novanta e in particolare dopo la Seconda intifada (2000), l’architettura e il design dei checkpoint hanno subito una grande trasformazione: partendo da blocchi di cemento e sacchi di sabbia, i checkpoint sono stati trasformati in “terminal” normalizzati, ufficiali e dall’aspetto aeroportuale.
Machsom Watch(Checkpoint Watch), una ONG israeliana che dispiega gruppi di donne israeliane per monitorare e documentare la condotta di soldati e poliziotti israeliani ai posti di blocco nella Cisgiordania occupata, valuta questi luoghi dal 2001. Hanno spesso riferito che, sebbene Israele cerchi di mantenere un’immagine “civile” di tali punti di accesso, i monitoraggi riportano spesso condizioni orrende e disumanizzanti. Per quanto riguarda l’igiene e i bagni pubblici al checkpoint di Qalandiya, nel 2019 hanno riferito che “i bagni sono sporchi e la sporcizia e i rifiuti sono ovunque”. In una visita successiva, nell’agosto 2020, hanno notato che, sebbene gli israeliani abbiano eretto un edificio nuovo e di aspetto migliore, la situazione generale è ancora disumanizzante. I bagni sono spesso chiusi a chiave: “La porta del bagno stesso era chiusa a chiave e tutto lo spazio intorno ad essa, all’interno del capannone, era ricoperto di sporcizia ed escrementi”.
La vescica di un adulto può contenere due tazze di urina; la vescica più piccola di un bambino, solo circa due once. Un ritardo prolungato nella minzione può causare dolore o fastidio e può anche aumentare il rischio di infezioni (soprattutto nelle donne in gravidanza), calcoli renali o malattie renali, soprattutto se si è affetti da alcune condizioni di base, come disturbi renali preesistenti. Infine, trattenere ripetutamente l’urina può allungare la vescica e compromettere la sua capacità di contrarsi, compromettendo la possibilità di urinare normalmente.

Questioni di donne: Prospettive di genere

Chiaramente, le strutture militari della violenza presentano sfide fisiche e logistiche, spesso impedendo l’accesso alle cure mediche, all’istruzione, al lavoro e agli spostamenti in generale. Tra l’altro, le Nazioni Unite e altre organizzazioni hanno documentato decine di donne palestinesi incinte che partoriscono ai checkpoint israeliani. A volte i bambini muoiono.
I disagi legati alla cura della persona, all’igiene e all’assistenza fisica e mentale subiti ai checkpoint sono riemersi ultimamente, soprattutto alla luce della guerra contro Gaza lanciata da Israele all’indomani del 7 ottobre 2023. Ad esempio, a Gaza ci sono stati casi strazianti di donne che hanno subito parti cesarei senza anestesia. Nel frattempo, molte donne a Gaza sono ricorse all’assunzione di pillole per ritardare le mestruazioni a causa della mancanza di assorbenti igienici, di accesso all’acqua e di privacy. Dover affrontare queste preoccupazioni intime mentre si è senza fissa dimora nel mezzo del caos della guerra (a Gaza) e sotto il dominio militare generalmente brutale (per i palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme) aggrava enormemente l’indegnità di una situazione già insopportabile.
Non ci si può abituare
Credo che ci siamo abituati a ignorare l’impatto dell’occupazione israeliana sulla nostra salute mentale e fisica”, condivide Tamira. “Proprio come ci hanno fatto abituare a vedere i cadaveri nei sacchi della spazzatura a Gaza…”...”
Non io”, interrompe Mia. “Ogni singolo giorno mi sveglio e sono scioccata dal fatto che ci sia un muro, e che sia lì da oltre 20 anni! Un muro di separazione! Ogni mattina sono assolutamente sconvolta al pensiero che hanno eretto muri militarizzati che tagliano le case, dividono i quartieri a metà e rendono impossibile alle persone accedere ai loro mercati alimentari locali, per non parlare di andare a scuola, agli appuntamenti medici, al lavoro o semplicemente a un appuntamento! Sono scioccata dal fatto che non possiamo uscire a fare una passeggiata o una corsa, a causa dei muri e dei posti di blocco. Sono scioccata dal fatto che il bilancio delle vittime a Gaza venga trasmesso dai notiziari mondiali e che noi lo guardiamo senza poter nemmeno immaginare cosa significhi la vita a Gaza. Sono scioccata dal fatto che i nostri amici di Ramallah e Betlemme non possano unirsi a noi per questa tazza di caffè… E che la nostra amica qui non possa più godersi una tazza di caffè perché i posti di blocco le hanno affaticato la vescica!”.
*Arda Aghazarian è una consulente di comunicazione. Ha lavorato nella produzione audiovisiva, inclusi film e radio